47 anni e una lunga carriera nella cosiddetta Polizia Giudiziaria del Governo libico, fino a diventare, dal 2016 in poi, responsabile di molte prigioni controllate dal Governo di Tripoli. Njeem Osama al Masri, anche noto come Al Masri un uomo di peso e tenuto in grande considerazione nel suo Paese. All'estero, invece la sua reputazione è macchiata da un'ombra pesantissima. La Corte Penale Internazionale lo accusa di crimini di guerra e contro l'umanità omicidio, tortura, stupro, persecuzione e detenzione inumana commessi dal febbraio del 2015 in poi nella famigerata prigione di Mitiga, vicino Tripoli. Il 18 gennaio del 2025 la stessa Corte emette nei suoi confronti un mandato d'arresto internazionale e invia la richiesta solo all'Interpol l'organizzazione internazionale che facilita la cooperazione tra polizie di Paesi diversi e a sei Stati. Uno di questi è l'Italia. Il giorno dopo, il 19 gennaio, 2025 l'uomo è a Torino. Dopo essere stato nel Regno Unito e in Germania è con alcuni amici per seguire la partita di calcio tra Juventus e Milan, nel capoluogo piemontese scatta immediatamente l'arresto. Passano tre giorni e il 22 gennaio 2025 Al-Masri viene scarcerato e riportato in Libia con un Falcon 900 utilizzato dai Servizi Segreti italiani. Decollato dall'aeroporto Torino di Caselle, e atterrato a Tripoli, in Libia, Al Masri viene accolto come un eroe da un gruppo di persone esultanti. In Italia. La notizia deflagra e scoppia il caso giudiziario e politico, a partire dalla Corte Penale Internazionale che la sera stessa del rilascio, con un comunicato durissimo chiede spiegazioni all'italia. La procedura formale che avrebbe permeso la liberazione di Al Masri porta alla Corte d'Appello di Roma che non avrebbe convalidato l'arresto, sostenendo che la Digos di Torino, prima di farlo avrebbe dovuto avvisare il Ministero della Giustizia. In Senato il Ministro Piantedosi conferma che l'avviso al Ministero è arrivato solo dopo l'arresto e che la scelta riportare Al Masri in Libia è seguita a un suo provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato, vista la pericolosità del soggetto. Versione confermata qualche giorno dopo da Gedda, dalla stessa Premier ora l'ultimo colpo di scena in una vicenda con molti punti ancora da chiarire. .