Nessuno ancora lo sa quando, dice la nonna paterna di Eitan, in inglese, ma non tornerà certo oggi. Non nasconde l'apprensione, la donna, rientrando in casa con il marito, ma sorride. La decisione del giudice israeliano, è un primo passo importante, ma il rientro di Eitan non appare così immediato. Il ramo materno della famiglia, quello israeliano, ha già promesso battaglia e ha annunciato ricorso alla sentenza del Tribunale della Famiglia di Tel Aviv, che da qualche ora ha deciso che il bimbo, unico sopravvissuto al disastro della funivia del Mottarone, deve tornare in Italia. Al civico 15 di Via Rotta di Travacò, c'è la casa di Eitan o meglio, la casa in cui il piccolo ha vissuto con le cuginette, con gli zii, fin dall'epoca della tragedia del Mottarone. Lo vedete, la casa chiusa, il giardino abbandonato, gli attrezzi in giardino e la posta, la cassetta delle lettere che nessuno più viene a ritirare da giorni, perché zio Or e zia Aya sono a Tel Aviv. Vogliono portarsi a casa Eitan. Ora siamo felici, dice zia Aya da Tel Aviv, aspettiamo solo di tornare con lui, dopo il rumore dei media si può tornare a sognare, aggiunge zia Aya, la calma, l'anonimato e soprattutto, il silenzio intorno a Eitan. Oggi il bimbo ha 6 anni e due case, una in Italia e una in Israele, i due rami della famiglia si stanno facendo la guerra nei Tribunali dei due Paesi, ora una giudice israeliana ha applicato la convenzione dell'Aia, sulla sottrazione di minori e ha stabilito che il piccolo, debba rientrare dov'è la sua residenza abituale, a casa della zia sua tutrice legale, dove Eitan aveva cominciato a ricostruirsi una vita. "Io penso che sia giusto, lui è nato qui, è vissuto qui e credo che portarlo via dall'Italia, non sia una cosa corretta". "Giusto che sia così". "Perché secondo lei?". "È nato qui, vive qui, ha i suoi compagni qui, le sue maestre".