I trasferimenti sono cominciati. Una nave militare e un traghetto, motovedette di Guardia Costiera e Guardia di Finanza, faranno la spola tra Lampedusa e la Sicilia, fino a quando l'Hot Spot non sarà vuoto. "Le operazioni si concluderanno al massimo lunedì", dice il neo-Sindaco delle Pelagie, Filippo Mannino, per procedere poi con le operazioni di pulitura e sanificazione della struttura, che può accogliere 350 persone e per 48 ore al massimo. Ma dove invece quasi 2mila tra uomini (alcuni feriti), donne (alcune incinte), bambini che necessitano cure, hanno vissuto per giorni, accampati su sporchi materassi gettati per terra, tra rifiuti e scarafaggi e con i bagni inagibili. Foto e video che hanno fatto il giro del web e del mondo e che sembrano arrivare dai lager libici e invece sono in Italia, in Europa, dice con rabbia la ex-Sindaca dell'isola, Giusi Nicolini. Una situazione disumana, che chi sa per quanto tempo sarebbe andata avanti, se qualcuno non avesse deciso di denunciare e testimoniare con queste immagini, quanto accade oltre i cancelli di una struttura in cui la stampa, da anni, non è autorizzato ad entrare. La nostra ultima visita risale al 2013, dopo il naufragio di 368 profughi eritrei. Quando, di fronte a quelle bare, si disse: mai più morti in mare. E invece i morti aumentano, ogni anno. Le barche continuano a partire. E in assenza di emissioni coordinate di ricerca e soccorso, quelle che non fanno naufragio, arrivano in autonomia sull'isola, diventata una sorta di imbuto, dice Flavio Di Giacomo dell'OIM. "Non è un problema di numeri e arrivi, ma di gestione e volontà politica", dicono all'unisono le associazioni umanitarie, come "Mediterranean Hope" (Federazione delle Chiese Evangeliche), che da anni denuncia una situazione insostenibile. "Questa non è un'emergenza, ma è mala-gestione. Lampedusa non può essere il luogo dove si concentrano tutti i flussi del Mediterraneo. Noi chiediamo un'accoglienza degna, trasferimenti immediati e corridoi umanitari per tutte e tutti.".























