L’ultimo italiano a riceverlo per la medicina è stato il genetista Mario Capecchi, una vita trascorsa negli Stati Uniti, dove era emigrato all’età di otto anni. La consegna nel 2007. Prima, il Nobel, inteso nelle sue varie categorie, era andato altre diciannove volte al nostro Paese, anche se, a guardare i numeri, negli ultimi trent’anni, a vincerlo, sono stati solo in quattro. Oltre a Capecchi, appunto, Dario Fo per la letteratura, Rita Levi Montalcini per la medicina e Riccardo Giacconi per la fisica. Insomma, tra i Paesi del G7, dall’86 a oggi, l’Italia, per numero di Nobel conquistati, è ultima. In Europa ci superano pure Austria, Polonia e Ungheria, per citare solo alcuni Stati. Com’è possibile? Lo abbiamo chiesto alla professoressa Lucia Votano, fisica, prima donna chiamata al vertice dei laboratori nazionali del Gran Sasso, che ha diretto fino al 2012. “Abbiamo troppo pochi ricercatori, usciamo appena adesso da un periodo in cui la possibilità di assumere persone in sostituzione di quelle andate in pensione era molto limitata. Da circa vent’anni gli investimenti in ricerca in Italia sono diminuiti”. C’è poi un altro dato che non può essere ignorato. Fatta eccezione per Dario Fo, il genetista Capecchi e l’astrofisico Giacconi sono naturalizzati statunitensi. La stessa Rita Levi Montalcini ha studiato e lavorato per trent’anni in America. “È facilissimo, durante i congressi internazionali, trovare persone dai nomi italiani, ma che lavorano in tutta Europa, negli Stati Uniti, in Australia. I nostri ragazzi sono costretti ad andare all’estero. Questo è l’indicatore più importante per capire se ancora siamo dentro la crisi, ne stiamo uscendo o ne usciremo”.