Sei province, 3.000 imprese agricole a rischio, di cui una buona metà almeno hanno anche l’agriturismo, nel segno della contiguità dei due settori che reggono l’economia delle zone colpite dal sisma: agricoltura e turismo. C’è anche una significativa fetta di industria manifatturiera, soprattutto nel maceratese, a completare un quadro da puntellare in tempi rapidi. Come per qualsiasi terremoto, infatti, se le imprese chiudono, se inizia a mancare il lavoro, le persone tendono ad abbandonare più facilmente le aree dissestate e il tessuto sociale ed economico della zona rischia di disgregarsi. Sono circa 10.000 le aziende che operano nei 197 Comuni del cratere di fine ottobre. Circa 40.000 le famiglie coinvolte, tra piccoli e medi imprenditori, dipendenti, lavoratori dell’indotto. Il settore principe è ovviamente quello agricolo e alimentare. Ecco perché in molti non vogliono lasciare questi luoghi. La loro terra e il loro bestiame hanno bisogno di cure quotidiane. Secondo una stima di Coldiretti, sono oltre 3.000 le imprese agricole che hanno riportato danni strutturali ai loro immobili e ai loro impianti, dove producono le eccellenze locali, soprattutto olio, carni, formaggi, zafferano. La stessa Coldiretti ha lanciato l’allarme stalle: circa 100.000 capi, soprattutto pecore, maiali e mucche, sono senza acqua né riparo, e gli allevamenti ittici, specie nella zona di Visso, sono totalmente distrutti. Non solo allevatori e agricoltori, anche la manifattura è legata ai prodotti tipici del centro Italia: dalla concia delle pelli ai calzaturifici, alla produzione della carta. Tutte imprese che rischiano il collasso dopo la scossa del 26 ottobre, mentre le prenotazioni turistiche erano già crollate, ovviamente, due mesi prima, in seguito al terremoto del 24 agosto, svuotando quegli agriturismi che garantivano parte significativa del sostegno alle imprese agricole.