Strade interdette al traffico, controlli straordinari e soprattutto divieto di accesso per le telecamere. È tutto pronto a Brescia per l’inizio del processo d’appello a Massimo Bossetti, il carpentiere di Mapello condannato nel luglio scorso in primo grado dalla Corte d’Assise di Bergamo all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra lasciata morente in un campo di Chignolo d’Isola il 26 novembre del 2010, il cui cadavere è stato ritrovato solo 3 mesi dopo in mezzo alle sterpaglie. Una seconda possibilità per Bossetti, per dimostrare la sua innocenza, quella che grida a gran voce da quando è stato arrestato nel giugno del 2014 mentre lavorava in un cantiere di Seriate perché il DNA trovato sugli slip di Yara combacia al 99,99% con il suo. Questo dicono i rilievi scientifici effettuati fino ad oggi e portati a processo ed è proprio su questo terreno che si terrà lo scontro nell’aula da 200 posti che ospiterà quello di secondo grado. Vogliono una nuova perizia sul DNA gli avvocati che lo difendono, Claudio Salvagni e Paolo Camporini. La chiede Bossetti la ripetizione di quel test che i giudici a Bergamo non hanno ritenuto di dover chiedere perché al termine delle 45 udienze avevano ormai le idee chiare. Per loro è stato Massimo Bossetti ad uccidere Yara Gambirasio. Ora però in aula ci saranno altri giudici sia popolari che togati che potrebbero decidere in modo diverso.