Ciò che sconcerta dell’aggressione nei confronti del vicepreside di una scuola di Foggia è la motivazione di tanta brutale violenza: un rimprovero del docente ad un alunno che aveva spintonato alcuni compagni in fila. Il ragazzo torna a casa, racconta l’episodio a suo padre. Lui, 24 ore dopo, va a scuola e, senza dire una parola, pesta il docente. Pugni al volto e all’addome. 30 giorni di prognosi. Il professore non ha neanche provato a rispondere ai colpi. “Avevo gli occhi dei ragazzi addosso” spiegherà più tardi. “Reagendo, avrei negato tutto ciò che ho insegnato loro sul rispetto delle regole”. “Fatti gravi. La violenza non è tollerabile” ha commentato il Ministro dell’istruzione Fedeli. In questo caso, in primo piano c’è un genitore, una persona adulta. In altri sono gli stessi alunni i violenti protagonisti degli schiaffi, dei pestaggi, delle aggressioni con un coltello, come ad inizio febbraio, quando una docente di italiano a Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, viene sfregiata con un coltello da un suo alunno diciassettenne, al quale aveva dato un brutto voto. Altra città, altro pestaggio. Siamo in Sicilia, ad Avola. Una costola rotta è il prezzo che paga un insegnante di educazione fisica per aver rimproverato un alunno e preteso il suo rispetto. Ancora una volta, i colpi arrivano dai genitori del ragazzo, tutto davanti ad altri alunni e insegnanti. Come a Treviso, lo scorso dicembre, a pochi minuti dall’inizio della recita per il Natale, quando un professore viene preso a schiaffi dal padre di un suo studente, tutto per un semplice rimprovero al ragazzo, restio ad accettare l’autorità del docente e a riconoscergli il rispetto. Spesso è proprio questo che manca, il rispetto, ciò che accomuna questi episodi da nord a sud dell’Italia.