Tra calcio e teatro, la storia di Agostino Di Bartolomei

02 ott 2019
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“Una figura di altri tempi, che rappresenta un po' il calcio che non c'è più, ma soprattutto anche gli uomini che non ci sono più, dei valori dimenticati come l'educazione, l'eleganza”. Quando il calcio era ancora tanto sudore e pochi soldi, quando gli uomini contavano più dei giocatori, quello era il tempo in cui giocava Agostino Di Bartolomei. Ciò che ha lasciato quando ha deciso di dire basta, il 30 Maggio di 25 anni fa, dieci anni dopo la sciagurata finale con il Liverpool, lo racconta Ariele Vincenti in questo monologo in scena al teatro Ghione di Roma fino al 6 ottobre. “Per quando abbiamo vinto lo scudetto, per quando giravamo col tricolore al petto, per quando strillavamo, per quando cantavamo il coro del nostro capitano, “Oooh, Agostino, Ago, Ago, Agostino””. C'è tanta Roma, certamente, ma c'è tanto della vita di tutti gli ultra quarantenni che hanno vissuto la militanza calcistica come fondamento della loro gioventù e che, al contrario di Agostino, riusciranno a raccontarlo ai loro nipoti. Un palcoscenico scarno, uno striscione che urla quello che Di Bartolomei ha sempre dimostrato, essere un pilastro della sua vita, ascoltare il silenzio e ascoltare in silenzio. “Teatro colto e popolare insieme, e raccontare la storia di Agostino Di Bartolomei con questa credibilità sul palco è una cosa rara, perché ovviamente quando si parla di calcio si rischia subito di finire nel retorico o nel leggendario, invece lui ci ha raccontato una storia che ancora è un esempio di vita, di coerenza e di grande credibilità”. Molto amore e qualche lacrima per un uomo che a Roma, ma non solo, non è mai stato dimenticato, perché Di Bartolomei era un romano atipico, senza gli accenti di sbruffoneria e testardaggine e con grandi, enormi, orizzonti emotivi. “L'ha raccontata stupendamente, l'ha descritto proprio come era lui. Credo che è stata una cosa molto, molto, molto bella. Non me l'aspettavo”. E in tutto questo rumore, tra milioni di euro e i cori razzisti, probabilmente ciò che manca al calcio sono proprio i silenzi di Agostino Di Bartolomei.

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