Arrivano in silenzio, ordinatamente, vestiti a festa. Ognuno porta un cestino pieno di cibo, coperto da fazzoletti ricamati. "Le mettiamo in protezione dai nostri nonni e si tramanda, diciamo, dai secoli ai secoli. E ogni cosa rappresenta, come il paska, un corpo di Gesù". Il "paska" è il pane pasquale degli ucraini, simile al nostro panettone. Lo preparano le donne in casa. Viene portato alla messa di Pasqua, viene benedetto e poi mangiato in famiglia. "Dobroi Pasche" dicono tutti salutandosi con la consapevolezza, e gli occhi non mentono, che in questa Pasqua di Risurrezione la speranza ha un sapore amaro. "Per noi è un po' anche difficile di parlare su queste cose. Ci vengono proprio le lacrime". Il giallo e il blu è ovunque: nei cestini, negli abiti tradizionali. Marina ne indossa uno. È nata in Ucraina, in Italia da 16 anni. "In questo caso la pace non è solo che si fermi tutto ma che loro escano completamente dal nostro territorio e smettano, anche nel futuro, di fare qualcosa del genere". Il cuore e il pensiero di queste famiglie va a chi è rimasto in Ucraina. A chi soffre sicuramente di più e a chi combatte. Ed è proprio qui, dalla basilica di Santa Sofia, che è diventato il centro di riferimento per la comunità ucraina di Roma che partono i camion con gli aiuti, con i medicinali, con il cibo. Pensate, dall'inizio del conflitto, ne sono partiti più di 30. "Io auguro per tante belle cose e pace da tutto. Perché c'è famiglia a casa, due figli che combattono". "Il pensiero.. cerchiamo di resistere".