Trent'anni e ancora non c'è un colpevole, trent'anni e questa ragazza che sorride alla spiaggia non ha avuto giustizia. Trent'anni dall'omicidio di Simonetta Cesaroni, uno dei primi casi di femminicidio diventato mediatico. Perché la storia da sempre è stata al centro della cronaca, perché c'era una ragazza in ufficio a lavorare in via Carlo Poma 2, a Roma, in questo palazzo al terzo piano. Era una ventenne, normale anche molto riservata, uccisa con 29 coltellate da qualcuno che conosceva, al quale lei aveva aperto la porta dell'appartamento. È da qui che partono le indagini, dalla cerchia più stretta, più vicina. Mancano diverse cose, in primis alcuni vestiti, viene trovata seminuda con un morso sul collo, oltre alle ferite che l' hanno uccisa. Sono gli Anni 90, gli strumenti utili alle indagini sono ben diversi da quelli di oggi, naturalmente. Viene fermato Pietrino Vanacore, uno dei portieri dello stabile di via Poma, poi scarcerato e la sua posizione archiviata. Avviso di garanzia poi per Federico Valle, nipote dell'architetto Valle, che abita nel Palazzo di via Poma e che la notte del delitto ha ospitato Vanacore. Poco dopo anche lui esce di scena, prosciolto. La famiglia di Simonetta aspetta un nome e un volto. Nel frattempo suo padre muore senza sapere chi abbia ucciso la figlia. Passano gli anni, arrivano altre risposte, ma non un nome. Nel Settembre 2007 la Procura di Roma iscrive Raniero Busco sul registro degli indagati per omicidio volontario, è l'ex fidanzato di Simonetta, lui da subito si dichiara innocente. Nel Febbraio 2010 in Corte d'Assise inizia il processo, passa un mese e Pietrino Vanacore si suicida e lascia due biglietti: vent'anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio, scrive. Pochi giorni dopo avrebbe dovuto testimoniare al processo. È il 26 Gennaio 2011 quando Raniero Busco viene condannato a 24 anni di carcere. Decisivi gli elementi portati dal Ris e l'assenza di un alibi. Una nuova perizia disposta dalla Corte d'Appello sembra però demolire le certezze degli esperti dell'accusa nel processo di primo grado. 27 Aprile 2012, una data che Busco non dimentica, viene assolto in appello per non aver commesso il fatto. Sentenza ribaltata e confermata in Cassazione, assoluzione definitiva. Non c'è un colpevole non c'è un nome, ancora in tanti c'è la convinzione che si sia trattato però di un delitto passionale, qualcuno che la conosceva, e che da lei voleva qualcosa di più. Rifiuto che l'ha portata alla morte.