Via D'amelio, gli appunti inediti di Paolo Borsellino

19 lug 2017
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A chi gli chiedeva perché avesse scelto di dare la caccia ai mafiosi, lui rispondeva: “non l’ho chiesto io, ci sono entrato per caso e poi ci sono rimasto per un problema morale, la gente mi moriva attorno”. Paolo Borsellino aveva scelto. Aveva scelto di combattere i nemici di Cosa Nostra anche se spesso capitava fossero gli stessi con cui da ragazzino giocava a pallone nel suo quartiere, La Kalsa, lo stesso in cui conobbe l’amico di una vita, Giovanni Falcone. Aveva scelto il lavoro, divenuto negli anni una missione, a costo di sacrificare famiglia, moglie e figli e la sua stessa vita. Ha attraversato gli anni delle grandi conquiste giudiziarie, della collaborazione, che il magistrato palermitano definì adozione, con Rocco Chinnici e poi con Antonino Caponnetto all’Ufficio Istruzione. In mezzo, i secoli di carcere inflitti ai capimafia alla sbarra nel maxiprocesso, figlio del lavoro senza precedenti di quei due siciliani che non ci stavano a sentire parlare di mafia solo come un fenomeno letterario. Oggi, 25 anni dopo via D’Amelio conosciamo qualcosa in più di Paolo Borsellino, possiamo leggere la durissima denuncia scritta di suo pugno durante un incontro organizzato ad Agrigento nel luglio del 1988. Questi appunti, resi pubblici dal CSM, inchiodano uno Stato che in quegli anni aveva già lasciato soli i giudici a Palermo: un pool antimafia in disarmo, magistrati troppo impegnati sui fascicoli sui reati comuni per potersi occupare di Cosa Nostra a tempo pieno. Pochi giorni più tardi, le interviste rilasciate a due quotidiani avevano amplificato le sue accuse. Il CSM lo convocò quindi per chiedergli conto di quell’attacco frontale. Davanti ai suoi superiori Borsellino, dopo un’accorata difesa, si congedò confidando di aver visto l’amico Giovanni Falcone afflitto, isolato, senza più quell’entusiasmo che l’aveva accompagnato negli anni di battaglia comune alla mafia. La denuncia di oggi, invece, è di Fiammetta, una delle figlie del magistrato ucciso. Se la prende con la Procura di Caltanissetta, che aveva indagato senza successo sui mandanti della strage, e ai colleghi del padre dice: “vi siete dimenticati di noi”.

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