10 miliardi l'anno è questa la cifra che l'Italia dovrebbe trovare per onorare la sua appartenenza alla Nato, l'Alleanza Militare Atlantica. Non si tratta di spiccioli e, per farsi un'idea, è poco meno di quanto serve per rinnovare nel 2025 il taglio del cuneo fiscale senza il quale 14 milioni di lavoratori perderebbero 90 euro al mese. Ma perché si parla di questi quattrini? Perché il nostro paese impegna per la difesa a meno di quanto stabilito dai 32 paesi della NATO. Il contributo deve essere proporzionato alla ricchezza e precisamente pari al 2% del prodotto interno lordo annuo entro il 2028. L'Italia è al di sotto di questa cifra, poco meno del 1,5 % risultando, secondo le stime dell'organizzazione fondata all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, uno degli otto alleati a non raggiungere ancora l'obiettivo fissato. Al momento, non c'è un'indicazione ufficiale di Roma per un aumento nei prossimi anni di questo spesa e il tutto in un contesto che ha visto nell'ultimo decennio e soprattutto dopo l'invasione russa dell'Ucraina, un vertiginoso incremento dei fondi da parte degli altri partner, soprattutto quelli dell'Est Europa. Denari impiegati sia per armamenti dagli aerei alle navi passano per l'artiglieria, sia per la ricerca. Denari però, non sempre utilizzati in modo efficiente se ci concentriamo sul vecchio continente dove le scelte dei vari stati spesso non sono coordinate, con il risultato che quello che si spende alimenta rivoli assai diversi. In Italia, per esempio il 60% dei soldi per la difesa è impiegata per pagare stipendi e pensioni dei militari. Mentre, questa quota è molto più bassa della media della NATO che mette più di noi per la produzione d'acquisto e lo sviluppo di armi.