Il cantiere pensioni sembra uscito dai radar della politica, ma qualcosa si muove. Mancano pochi mesi a settembre quando il governo dovrà disegnare il quadro della nuova manovra economica e decidere cosa fare con la previdenza. A partire da quota 103, la misura che permette di anticipare l'uscita dal lavoro con almeno 62 anni di età e 41 di contributi scade a dicembre e se non si farà nulla da gennaio di anni ne serviranno 67, cioè la soglia standard, tra le ipotesi quella di una proroga, ma circola anche l'idea di poter andare in pensione se si hanno 41 anni di versamenti, a prescindere dall'età anagrafica, con un taglio però dell'assegno fino al 20%. Per chi scegliesse questa strada il cedolino verrebbe infatti interamente calcolato col sistema contributivo senza dunque tener conto dell'ammontare degli stipendi. Il meccanismo non peserebbe troppo sulle casse pubbliche. La spesa pensionistica infatti continuerà a crescere toccando l'apice del 17% in rapporto al prodotto interno lordo nel 2040. Un calo graduale inizierà tra vent'anni, prevede la Ragioneria Generale dello Stato, quando il contributivo sarà generalizzato. Un monito per chi ambisce a riforme radicali o ad ammorbidire le regole in vigore con interventi, come quelli che dal 2019 in poi hanno permesso l'anticipo pesando in cinque anni per circa 40 miliardi. Le cose sarebbero potute andare molto peggio per l'Erario, se nell'ultimo ventennio non ci fosse comunque stata una robusta stretta. I vari interventi, tra cui la riforma Fornero, permetteranno risparmi di spesa, sempre in rapporto al PIL, di oltre 60 punti percentuali al 2060.