Una marcia a tappe forzate, con la lista dei progetti da rifinanziare e con i fondi europei da mettere nero su bianco e la struttura di chi gestirà i soldi da definire. Il piano italiano per la ripresa, cioè il documento col quale il nostro Paese spiega come spenderà gli oltre 200 miliardi comunitari anticrisi da qui al 2026, è in dirittura d'arrivo. Il Governo lo presenterà all'inizio della prossima settimana davanti al Parlamento e, ha promesso, lo invierà a Bruxelles per l'esame entro il 30 aprile. In questo modo, se tutto andrà liscio, entro luglio arriverà la prima rata di aiuti, circa 27 miliardi. Rispettare questi tempi appare vitale per raggiungere gli obiettivi fissati sui conti pubblici, a tal punto che fonti di Palazzo Chigi hanno smentito un possibile slittamento. Gli occhi di Bruxelles rimangono comunque puntati su Roma, non solo perché a noi spetta la fetta più grande degli aiuti, ma anche perché ci sono state chieste una serie di riforme dalla Giustizia al Fisco di portata strutturale. Sappiamo che il Governo guidato da Mario Draghi ha in parte modificato la rotta presa dal precedente esecutivo e ai finanziamenti europei ha aggiunto 30 miliardi di fondi nazionali. Sappiamo anche che oltre la metà di tutte le risorse saranno spese per l'ambiente e il digitale e tra le opere da tempo si parla di alta velocità ferroviaria, rete internet veloce, riconversione delle Industrie più inquinanti. La lista nel dettaglio però non è nota e i partiti spingono per rimpolpare l'elenco, soprattutto premono per allargare le maglie dell'Organismo che dovrà supervisionare l'esecuzione dei progetti. Nell'intenzione di Draghi questo compito sarà affidato a Palazzo Chigi, insieme ai Ministri tecnici, Tesoro, Infrastrutture, Transizione Ecologiche Digitale. Un pool ristretto sul quale la partita resta aperta.