Svimez, Sud rischia recessione, 500mila nuovi poveri

29 nov 2022
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Quello del divario economico e sociale tra le varie aree del Paese è un problema che accompagna la storia d’Italia fin dalla sua nascita, eppure anche con i grandi progressi fatti soprattutto negli ultimi decenni e la ripartenza dello scorso anno, la forbice di crescita tra Nord e Sud torna a riaprirsi. Secondo le stime dell’ultimo rapporto Svimez, nel 2023 il Mezzogiorno rischia di finire in recessione con il Pil visto in calo al -0,4%. Forte la frenata anche per il Centro Nord che rimane comunque con il segno positivo a +0,8. Se allora recessione sarà riguarderà solo le regioni del meridione. A pesare sono caro energia e inflazione. Sul rialzo dei prezzi le differenze territoriali si fanno sentire passando dal +8,3% del Centro Nord fino a sfiorare il +10 del Sud. E anche gli effetti sono più pesanti per il Meridione, dove sono di più le famiglie a basso reddito e con nuclei più numerosi, e che dunque risentono maggiormente degli aumenti dei beni di consumo nel carrello della spesa. Rincari che potrebbero portare a oltre 760mila nuovi poveri di cui ben 500mila al Sud. Disparità anche sul fronte dell’occupazione. Più precari, per più tempo e con attività di bassa qualità rispetto al resto del Paese. Una condizione che nel 2021 ha riguardato quasi un lavoratore del Sud su 4, circa 11 punti oltre la quota registrata al Nord, oltre 7 quella del Centro. E se il tasso di occupazione femminile fosse stato uguale a quello del Centro Nord le lavoratrici sarebbero aumentate di 1,6 milioni, ma solo la metà delle donne potenzialmente disponibili a lavorare trova un impiego. Le misure d’emergenza durante la pandemia, dal blocco dei licenziamenti, alla cassa integrazione al Reddito di Cittadinanza, ricorda lo studio Svimez, nel 2020 hanno tamponato vere emergenze sociali. Circa 1 milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta, per due terzi al Sud dove la riduzione è arrivata a -750mila. Però chi può, dal Mezzogiorno va ancora via. In vent’anni 1,2 milioni di giovani lo hanno lasciato, 67mila solo nel 2020 e per il 40% erano laureati. Forse il PNRR sarà davvero l’ultimo treno, da non perdere, per restare.

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