Quindici anni fa moriva Giovanni Paolo II, Karol il grande, terminava così un, pontificato che aveva marcato la storia del mondo. Arrivarono da tutto il pianeta per salutarlo, cattolici e non, una cosa mai vista nella storia della Chiesa. Milioni di persone, che per settimane riempirono Roma, si misero commosse infine in Piazza San Pietro, code impensabili oggi, al tempo del Coronavirus. Al suo funerale, mentre il vento sfogliava il Vangelo sulla bara, cartelloni gridarono: “Santo subito”. Il suo successore, il collaboratore più stretto, il suo caro amico Joseph Ratzinger, esaudì la richiesta. L'elezione Wojtyla fu una sorpresa, il cardinale polacco che litigava in patria con il regime totalitario comunista, costituì uno choc per l'impero sovietico. Nella sua Polonia, favorì la nascita del sindacato Solidarność, l'elettricista cattolico che lo guidava, sfidò l'impero e aprì profonde crepe nel muro del blocco dell'est. Quando blasfemi i colpi di pistola insanguinarono la bianca veste di Wojtyla, in Piazza San Pietro, parve che il mondo smettesse di respirare, ma Karol si salvò e ringraziò la Madonna di Fatima per averlo risparmiato. “Una mano assassina sparò, un'altra deviò i colpi” disse poi, e fece rivelare la terza parte del segreto dato dalla Vergine in terra portoghese, fino ad allora celato perché terribile. “Il Pontefice che sarebbe dovuto morire, ero io”, spiego il Papa venuto dall'est e i cristiani uccisi, di cui parla la visione, sono quelli sterminati dal regime del comunismo ateo. Nel suo pontificato, un quarto di secolo, uno dei più lunghi della storia, Wojtyla avversò ideologie e attraversò continenti per portare nel pianeta il messaggio di Cristo e quando cadde l'ultimo muro, quello di Berlino, venne riconosciuto come uno dei protagonisti principali di quello storico mutamento. Sapeva parlare ai potenti e agli ultimi della terra, e il mondo l'ha cambiato con il passo sicuro del montanaro e con lo sguardo sempre fisso nel cielo.