A New York manifestanti sfilano contro Trump

13 nov 2016
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“Ci uniremo e vinceremo, vinceremo, vinceremo”. Nel giorno in cui anche la sua New York scende in piazza contro di lui, Donald Trump, su Twitter, prova ancora a inviare un messaggio di unità, ma il paese, a quattro giorni dalla sua elezione, appare ancora diviso, con proteste organizzate in oltre settanta città, a volte sfociate anche in episodi di violenza. E, come spiega chi sfila per le strade di Manhattan, in molti continuano a parlare di Trump come di un pericolo. “Mi unirò ad altre organizzazioni, perché sono preoccupata dell’ambiente, sono preoccupata per i diritti delle donne. Questo è soltanto l’inizio. Sto solo iniziando a pensare a quello che posso fare, perché credo che il futuro di questa democrazia sia veramente a rischio”. “Beh, io non voglio proprio vederlo in carica. Non voglio che sia Presidente. Ma non credo che sarà in grado di essere un Presidente di successo, come lui dice. Non ci credo, ma ci proverà. Ma noi, il popolo, dobbiamo unirci e lottare”. Il corteo di New York, partito da Union Square e arrivato fino alla Trump Tower attraversando la Quinta Strada, è pacifico, colorato, pieno di neri, donne, gay, ispanici, musulmani, bambini, ma soprattutto tanti giovani, quelli che alle primarie in gran parte volevano Bernie Sanders e che l’8 novembre sono andati a votare per Hillary Clinton, ma senza troppa convinzione. Oggi migliaia si ritrovano uniti sotto lo slogan “He’s not my President (Non è il mio Presidente)”. Ma la verità è che Trump sarà alla Casa Bianca per i prossimi quattro anni, perché scelto da milioni di americani, che più che alle sue dichiarazioni, spesso sopra le righe, della campagna elettorale hanno creduto alla sua ricetta economica e fiscale, al protezionismo commerciale, al pugno duro contro l’immigrazione. Queste saranno le priorità del neopresidente, che sta mettendo a punto la sua squadra di Governo, tenendo però bene a mente anche l’importanza di una riappacificazione nazionale. Non a caso, su alcune questioni in pochi giorni ha già corretto il tiro, come ad esempio sull’“Obamacare”, la riforma sanitaria di Obama, che certo sarà smantellata, ma ne verranno preservate alcune parti importanti. Intanto il campo democratico resta ancora sotto shock e consapevole di non essere stato in grado di intercettare quel disagio sociale, soprattutto al di fuori delle grandi città, che ha spianato la strada verso la Casa Bianca a Donald Trump. Anche se in realtà, secondo Hillary Clinton, sono altre le ragioni che hanno portato alla sconfitta. La candidata democratica, parlando con un gruppo di finanziatori della sua campagna, non ha mostrato esitazioni dando la responsabilità di quanto accaduto a James Comey e all’FBI. “Da quando, pochi giorni prima del voto, il Bureau ha tirato fuori la storia delle e-mail – ha spiegato la Clinton – abbiamo visto nei sondaggi un’inversione di tendenza, che a un certo punto è diventata impossibile da recuperare”.

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