L'insegna "Nuova Kabul" suona come una beffa. Jamal è afghano, da 17 anni vive in Europa. Ci accoglie nel suo ristorante. Prima ci offre un tè e poi cominciamo a parlare. "La mia famiglia sta in Afghanistan" "Dove esattamente?" "In Jalalabad" "Vicino Kabul?" "Vicino Kabul sì. Lì c'è mia moglie e quattro figli. Due femmine e due maschi. I miei fratelli e sorelle". È per proteggere loro che il voto di Jamal non è riconoscibile. Ci racconta che i suoi bambini andavano a scuola. Un diritto che a lui è stato negato. Li ha chiamati, sono storditi, impauriti, non vogliono uscire di casa. Il suo biglietto di andata, previsto per il 25 agosto, è carta straccia. Jamal vorrebbe averli qui con se. "Io voglio portare la mia famiglia ma come si portano ora? Non ci sono i loro passaporti perché non c'è un Governo. Senza passaporto come devo portare la mia famiglia? Tutti vogliono scappare dall'Afghanistan. Per che cosa? Perché nessuno vuole i talebani". "Avete bisogno di aiuto?" "Certo". Alle pareti le foto di Mazar-i, Herat, Bamiyan deturpata senza i buddha. Prima di fuggire, Jamal ha conosciuto i talebani. "Gli stessi talebani. Quelli che c'erano 20 anni fa. Loro non sono cambiati veramente. Se ti faccio vedere i video e li guardi, loro non sono cambiati. Ieri un talebano stava con un bambino sopra un muro. Loro gli hanno fatto un....perché?" Lo studio li avrebbe cambiati, invece adesso me li mostra in un video davanti ad un elicottero che non sanno comandare. "È un'intervista senza speranza questa. Il suo Paese come lo vede?" "Il mio Paese è già finito. Già finito, basta. Non c'è più Afghanistan" "Non c'è più?" "Non c'è più Afghanistan".