Si chiamano commodities, ovvero prodotti di uso così comune, che è quasi impossibile farne a meno. Il grano, ad esempio, ma anche il petrolio o il gas naturale. A causa della guerra il loro prezzo sta andando alle stelle. Il fatto è che Russia e Ucraina ne sono tra i maggiori produttori e secondo un rapporto della Banca Mondiale, lo shock sugli scambi di questi beni potrebbe durare anni. Negli ultimi due, complice la ripresa dalla pandemia, l'aumento nel costo dell'energia è stato il più grande dalla crisi petrolifera del '73. Rispetto al 2021, quest'anno sarà più cara di oltre il 50%; il prezzo di un barile di greggio sarà mediamente di 100 Dollari, ai massimi dal 2013 contro i 60 degli ultimi 5 anni. Il gas naturale raddoppierà, il carbone dovrà essere pagato l'80% in più. Simili record accrescono le pressioni inflazionistiche in tutto il mondo, perché nell'immediato le commodities sono difficilmente sostituibili e innescano una spirale di aumenti. I metalli costeranno il 16% in più, il grano aumenterà del 40%, aggravando le condizioni di vita, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. La Banca Mondiale prevede un allentamento dei rincari per il prossimo anno, a meno che la guerra non si protragga o ci siano ulteriori sanzioni che ostacolino i commerci internazionali. Se da una parte, il conflitto spingerà a trovare alternative energetiche sicure e sostenibili nel lungo termine, nel breve sta facendo l'opposto. In diversi Paesi, rimandando la transizione in favore di un ritorno allo sfruttamento intensivo delle tradizionali fonti fossili interne.