È la tana del lupo. In Georgia, che nel novembre del 2020 votò, prima volta negli ultimi 25 anni, un Democratico alla Casa Bianca, va avanti da mesi una di quelle battaglie per la democrazia che sottotraccia si stanno svolgendo lontano dai riflettori di Washington e dalle cronache nazionali. Dallo stato di Martin Luther King fino a Texas, Michigan, Arizona, Florida, Pennsylvania e Iowa, i parlamenti locali, controllati dai repubblicani, stanno infatti approvando in vista del 2024 dozzine di nuove leggi elettorali. Secondo i democratici sono norme restrittive del diritto di voto, per i repubblicani servono invece a garantire l'integrità delle prossime elezioni, incidentalmente rispondendo a presunte e mai dimostrate frodi. Per questo nella tana del lupo, ad Atlanta, arriva oggi il Presidente degli Stati Uniti Biden. All'indomani del cambio di passo nel rispondere alle accuse di brogli avanzate dal suo predecessore, quando aveva parlato di coltello puntato alla gola dell'America, per contrastare ciò che definirà un pericolo per la democrazia, l'anziano presidente appoggerà il tentativo dei democratici di superare l'ostruzionismo repubblicano in un Senato spaccato esattamente a metà, abbandonando la soglia minima di 60 voti per approvare una legge in maniera bipartisan e blindare così a livello federale un provvedimento che garantisca minimi diritti di voto e svolgimento delle lezioni. Contrariamente a quel che raccontano i due contendenti, quella in corso non è però una lotta tra il bene e il male. Le leggi repubblicane formalmente si concentrano sui requisiti di identificazione dei votanti e riducono le modalità di voto postale e differito, che erano state introdotte solo per via della pandemia. È altrettanto vero che nei fatti però rischiano non a caso di rendere più complicata l'espressione di quelle fasce della popolazione meno istruite e più marginali che tendenzialmente votano democratico ma hanno meno possibilità di andare di persona ai seggi con tutti i documenti in regola.