Erano le grandi sostenitrici del “no” alla Brexit. Ora le banche britanniche minacciano di lasciare Londra, entro Natale le più piccole, nei primi mesi del 2017 le più grandi. È il Presidente della maggiore associazione di lobbisti del settore, la British Bankers’ Association, a farsi sentire dalle colonne dello Observer. “Il clima tra i banchieri è tetro”, spiega Anthony Browne. “Il dibattito pubblico e politico su Brexit ci sta portando nella direzione sbagliata”. “Le trattative sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, infatti, dovrebbero iniziare entro la fine di marzo e – ragiona ancora Browne – gli affari non possono attendere”. Troppa l’incertezza in particolare sul futuro dei cosiddetti passporting rights (diritti di passaporto), ovvero la possibilità per le società di servizi finanziari di operare nei paesi dell’UE senza dover pagare dazi e tariffe doganali. Saranno cancellati? I banchieri non sono ottimisti. L’accoglienza gelida riservata al Premier Theresa May al suo primo summit europeo lo scorso 20 ottobre non fa ben sperare. D’altronde, il Primo Ministro non sembra disponibile a concessioni, rinunciando per esempio a porre limiti all’immigrazione. A preoccupare gli istituti finanziari della City, poi, è la sua freddezza nei loro confronti. I tempi del Governo Cameron sono lontani. May non parla il loro linguaggio. Anzi, lo scorso 5 ottobre, al congresso dei Tory, ha disegnato un partito nuovo, più aperto ai deboli e al sociale. È, quindi, possibile che le banche stiano meditando di accelerare il trasloco. Altre grandi città, da Parigi a Madrid, da Zurigo ad Amsterdam le corteggiano. Londra è avvertita. Il settore vale il 12 per cento del prodotto interno lordo e occupa più di settantamila persone, indotto escluso.