Caos Iraq, in fuga da Baghdad per paura di essere uccisi

12 gen 2020
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In fuga da Baghdad, in fuga dall'esercito e dalle milizie. La storia di Omar, Akhmed e dei loro amici racconta bene cosa è diventato l'Iraq dopo oltre 15 anni di guerre e conflitti. Li incontriamo per strada a Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove sono scappati per non essere rapiti o uccisi. Hanno tutti poco più di 25 anni, sono attivisti di piazza Tahrir e per parlare chiedono di essere portati in un luogo chiuso dove incontriamo i loro amici che non vogliono invece essere ripresi in volto. Insieme ci mostrano queste immagini che vengono da piazza Tahrir a Bagdad, e risalgono a poche ore fa. A 100 giorni dall'inizio della protesta i manifestanti sono tornati a chiedere a gran voce la fine della corruzione e la cacciata delle forze straniere dal Paese, Iran e Stati Uniti in testa. Scendono in piazza questi ragazzi, nonostante la brutale repressione che dal primo di ottobre ha fatto centinaia di morti, migliaia di feriti. Quelli che incontriamo sono solo alcuni dei tantissimi attivisti che, terrorizzati, sono riusciti ad andare all'estero o a venire qui a Erbil. Ci raccontano la loro storia e le loro ragioni. Ho postato dei commenti contro le milizie in Iraq e in seguito ho visto delle macchine che mi seguivano, hanno provato a rapirmi, sono fortunato perché non ci sono riusciti. Mi sono aggrappato a un palo della luce, ho iniziato a urlare e loro sono scappati, anche se mi hanno picchiato duramente sulle braccia e sulle spalle. Ho avuto molta paura. Il giorno stesso sono venuto qui in Kurdistan per fuggire da loro. Ero tra i manifestanti di ottobre, sono sceso in piazza per tantissime ragioni, ho continuato a protestare a novembre e a dicembre, fino a quando ho iniziato a ricevere delle minacce. Ho ricevuto moltissimi messaggi e telefonate e dopo un po' ho capito che erano da parte delle milizie. Dicevano che mi avrebbero ucciso, rapito che avrebbero distrutto la mia vita, io sono molto giovane, ho avuto paura. Il 24 ottobre ero in piazza Tahrir con una bandiera irachena. Ero lì e gridavo per i nostri diritti, per un cambiamento. Qualche giorno dopo alcuni amici che lavorano nelle forze di sicurezza, alcuni dei quali nell'antiterrorismo, mi hanno detto che il mio nome era finito nelle liste dei terroristi. Avevano passato l'elenco dei nomi nelle mani delle milizie. Omar è invece stato fermato, imprigionato per sette giorni e torturato. Deve la libertà e la vita all'attenzione dei media e di un funzionario ONU che ha preso a cuore il suo caso. Per i primi due giorni mi hanno tenuto in caravan, bendato, ammanettato, senza cibo. Poi mi hanno portato in prigione come fossi un criminale e mi hanno torturato. Non mi hanno fatto dormire per giorni, ma sono stato molto fortunato perché la comunità internazionale ha fatto pressioni sul Governo affinché io venissi rilasciato. Sono stato liberato mercoledì, il venerdì c'era una macchina delle milizie che mi è venuta a cercare nel mio quartiere, - ma io sono scappato. Tutti sono convinti delle ragioni della protesta che ha messo in crisi il Governo, portandolo ad una repressione che si dice sia stata sobillata dallo stesso Soleimani, il che li porta, paradossalmente, ad essere d'accordo, almeno parzialmente, con il Governo che contestano. Via gli stranieri dall'Iraq, a partire dall'Iran, ma soprattutto dagli americani. - I manifestanti dicono no alla presenza dell'Iran e no alla presenza degli Stati Uniti. Stiamo chiedendo che la nostra identità venga rispettata. - Siamo iracheni. - Questo è il nostro obiettivo. Che se ne vadano dal nostro Paese, possiamo farcela da soli. Non abbiamo bisogno di loro, possiamo badare a noi stessi, possiamo costruire da soli il nostro Paese.

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