4 agosto, ore 12:00 italiane: era l'ora X segnata dalla corte britannica per Archie, il 12enne dell'Essex trovato in casa privo di sensi della madre, in coma dal 7 aprile scorso. L'ordinanza dei giudici aveva stabilito che il respiratore artificiale che tiene in vita il piccolo da 4 lunghi mesi, doveva essere staccato. Troppo gravi le lesioni cerebrali diagnosticate, nessuna speranza di un miglioramento, almeno per i dottori. Ma non per la famiglia, che ancora una volta ha preso tempo per ritardare quel tragico epilogo, segnato da mesi di battaglie legali, nel tentativo di rinviare uno stop che i medici britannici considerano inevitabile. Una conclusione a cui si arriva nel mese di giugno, dopo settimane di test nel Royal London Hospital, dove il ragazzino è ancora ricoverato e che stabiliscono la peggiore delle sentenze: Archie non risponde ad alcuna sollecitazione, il trattamento può essere sospeso. La famiglia non si arrende e tra ricorsi giudiziari e appelli strazianti, darà il via ad un braccio di ferro estenuante, fino a quando, nei giorni scorsi, decide di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per ritardare l'interruzione delle cure, ma anche questa richiesta viene respinta. Scatta quindi l'ora X, è il 4 agosto, ma la famiglia tenta l'ultima carta: un permesso legale per trasferire il bambino in un hospice, lì dove, dice la madre, Archie potrà morire con più dignità, piuttosto che in un ospedale. Ma i medici ne hanno già sconsigliato il trasferimento e la madre, Hollie Dance, ai media britannici parla di una lotta legale giunta al termine. "Ancora una volta - dice - il nostro Paese ha deluso un bambino di 12 anni.".