Era il 2011 quando il cosiddetto Pivot to Asia diventò uno dei pilastri della dottrina di politica estera del presidente Barack Obama: l'obiettivo dell'amministrazione democratica era quello di un riequilibrio strategico degli interessi americani verso l'Asia, un necessario spostamento del baricentro dettato dalla concreta concorrenza economica, politica e militare della Cina, non più soltanto potenza emergente ma attore ed anche rivale attivo degli Stati Uniti, ben oltre i confini regionali. In concreto, il nuovo corso americano nell'area dell'indo Pacifico ha portato a rinsaldare i rapporti con i paesi alleati nel settore della sicurezza, ma anche in campo economico con il riposizionamento di asset militari dall'Atlantico al Pacifico, il sostegno all'area di libero scambio del partenariato transpacifico, il rafforzamento di organizzazioni come l'associazione delle nazioni del sud-est asiatico. L'idea di un riequilibrio verso l'Asia sembrava essere stata superata con Donald Trump presidente repubblicano più focalizzato sulle questioni interne accusato dai suoi detrattori di isolazionismo in politica estera. Con l'arrivo di Joe Biden, l'ex numero 2 di Obama alla Casa Bianca, Washington è tornata a guardare a est con la nascita nel 2021 di un patto sulla sicurezza regionale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti e la firma nel 2023 di un'alleanza tripartita tra Washington, Corea del Sud e Giappone. Lo sforzo di riorientare la politica nazionale verso l'Asia è stato indebolito dalle guerre in Ucraina e a Gaza, come ha scritto il Washington Post, anche se le ultime visite diplomatiche e le recenti esercitazioni navali congiunte assieme ad Australia, Filippine, Giappone mirano a inviare un chiaro messaggio: l'America è impegnata e presente nella regione.