Decenni di battaglie per conquistare il diritto ad abortire e poter quindi scegliere sul proprio corpo. Ora queste battaglie si ripetono perché la possibilità di interrompere una gravidanza è di nuovo a rischio in diversi Paesi. L'aborto non è un diritto umano riconosciuto da leggi internazionali, o perlomeno non in modo esplicito. Generalmente la giurisprudenza lo collega al diritto alla salute. Ma proprio il 2 settembre l'ONU ha adottato una risoluzione in cui definisce "l'accesso all'aborto sicuro" un diritto umano. Così come ha fatto il Parlamento europeo che ha recentemente approvato anche una risoluzione per inserirlo nella carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Nel mondo, secondo il Center for reproductive Rights, che continua ad aggiornare la cartina che vedete, sarebbero 24 i Paesi a vietare l'aborto in ogni circostanza, quelli che vedete in rosso scuro, anche nel caso in cui vi sia un rischio per la vita o la salute della donna. In questa situazione si trovano quindi 91 milioni di donne, il 6% di tutte quelle in età riproduttiva. Malta è l'unico Paese dell'Unione Europea a non permettere, in nessun caso, l'aborto. A vietarlo c'è anche il Principato di Andorra. Mentre hanno leggi molto restrittive e Monaco, Liechtenstein e anche la Polonia. Varsavia ha infatti gradualmente limitato tra le proteste l'accesso all'interruzione di gravidanza che ora è possibile solo in caso di stupro o rischio per la salute della donna. Come aveva scritto il Washington Post c'è una grande somiglianza tra la Polonia e gli Stati Uniti: sono gli unici due Paesi sviluppati che nel XXI secolo hanno fatto marcia indietro sul diritto all'aborto. Negli USA, a seguito della sentenza della Corte Suprema dello scorso 24 Giugno, la situazione è questa: negli Stati colorati di rosso scuro l'aborto è vietato. A questo si aggiunge la Georgia dove l'aborto non è più consentito dopo le 6 settimane di gravidanza.