In un Libano che annaspa, ostaggio di una crisi economica senza precedenti, i risultati delle elezioni parlamentari portano poche certezze e molti interrogativi. Almeno, sulla carta sembra non esserci più la maggioranza di governo per l'alleanza politica pro Hezbollah. Nonostante il movimento filo iraniano guidato da Nastrallah e Amal, partito del Presidente del Parlamento, Nabi Barry, abbiano mantenuto solida la loro base, gli sciiti escono indeboliti dal voto, perché il loro maggiore alleato, il movimento patriottico libero partito cristiano del Presidente della Repubblica, Michel Aoun, ha perso parecchi voti. Così, il calo di popolarità del presidente ha favorito l'avanzata delle forze libanesi. L'ultradestra cristiana di Samir Geagea, partito ampiamente sostenuto dalla Arabia Saudita con lo scopo di diminuire l'influenza di Teheran nella regione. La comunità sunnita, invece, ha perso terreno a causa del vuoto politico lasciato da Saad Hariri l'ex premier e leader del partito movimento futuro, ha deciso di non candidarsi e ha esortato i suoi elettori a boigottare le elezioni. Bene gli indipendenti, quei partiti e movimenti nati con la Saura; la rivoluzione di ottobre 2019 che hanno provato ad allontanare il discorso politico da settarismo e che si sono schierati contro l'Intero establishment politico accusato di aver portato il paese al crac finanziario. Ma sembra esserci poco di cui gioire, perché il nuovo Libano appare sempre più diviso e polarizzato. Il braccio di ferro tra le fazioni potrebbe provocare un ritardo nella formazione del governo, nella scelta del futuro presidente della repubblica e, soprattutto, nel varo delle riforme che servono per rilanciare un paese al collasso.