Istantanee di disumanità. Immagini crude, che da sole bastano a descrivere il dramma dei migranti sulla rotta balcanica, spazzata dal vento gelido di uno degli inverni più rigidi degli ultimi anni in Europa. Perfino la dignità della rasatura sembra negata a queste persone, che hanno solo la colpa di fuggire dai propri Paesi d’origine, con il sogno di raggiungere i ricchi e confortevoli Paesi del nord Europa. Perfino lavarsi si presta a queste incredibili condizioni. Sono in migliaia, tutti in fila per una modesta razione di cibo, esposti al freddo polare e all’umiliazione dell’indigenza. Immagini che ad alcuni hanno fatto pensare ai prigionieri tedeschi a Stalingrado durante la Seconda guerra mondiale. Un paragone respinto con sdegno dalle autorità serbe, le stesse autorità che provvedono all’assistenza dei profughi nei centri di accoglienza a Belgrado e nel resto del Paese, dopo che il Primo ministro ungherese Orban ha deciso, lo scorso marzo, di chiudere le frontiere. Neve, ghiaccio, temperature che di notte scendono fino a 20 gradi sotto zero fanno da sfondo a una condizione già di per sé drammatica e al limite della sopravvivenza. Circa 60.000 profughi costretti al gelo, dalla Grecia alla Serbia, abbandonati o quasi al loro destino. In loro aiuto si sono mobilitate organizzazioni non governative e umanitarie, mettendo a disposizione coperte, vestiario, scarpe invernali, cibo e medicine. Ma non basta. Ai migranti, bloccati dal freddo e dall’indifferenza, manca ormai tutto, anche l’umanità.