G20, difficile l'accordo sul documento finale

28 giu 2019
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E venne il giorno di Rasputin. Stamane qui ad Osaka lo chiamavano tutti così, amici, simpatizzanti e nemici. La sua intervista, pubblicata in prima pagina dall'autorevole Financial Times, in cui afferma che le democrazie liberali rappresentano valori obsoleti, lontani oramai dall'interesse dei popoli, scuote l'Europa e mette in imbarazzo, come se ne avesse ancora bisogno, il Giappone, che cerca disperatamente di portare a casa un comunicato congiunto. A questo punto non si sa se ci riuscirà. Il Giappone, il Paese più sicuro del mondo, dove l'ultimo attentato terroristico risale a oltre vent'anni fa, ha mobilitato oltre 30 mila poliziotti, paralizzato una città tra le più scalmanate ma sicure del pianeta, imponendo la chiusura addirittura dei suoi famosi quartieri a luci rosse, ma fa fatica a gestire le emergenze. Quel poco sul quale si stava lavorando, dopo le ultime piroette di Trump e le minacce europee di non firmare il comunicato finale se non conterrà esplicite garanzie sulla lotta per la salvaguardia dell'ambiente, è forse troppo per il padrone di casa Shinzo Abe, alla vigilia di elezioni decisive per realizzare il suo storico obiettivo: cambiare la Costituzione. Paradossalmente per farlo dovrebbe ora andare contro il suo storico, ma oramai imprevedibile alleato: gli Stati Uniti. Al Giappone, che ha appena firmato il trattato di libero scambio con l'Unione europea, la guerra dei dazi non solo non conviene, ma fa paura, così come la questione dell'ambiente. La pensa come l'Europa, ma deve agire come vogliono gli Stati Uniti, che nelle ultime ore stanno arruolando nuovi alleati: Arabia Saudita, Brasile e perfino l'Australia. Insieme potrebbero riuscire in effetti ad imporre un veto. E se è in forse il comunicato finale del G20, nato per rassicurare i mercati dopo le crisi finanziarie degli anni Novanta e ora costretti a navigare a vista, ancora di più lo è il risultato dell'incontro ufficiale tra Trump e Xi Jinping. Tutti danno per scontata almeno una tregua. Sarebbe la condizione posta dal leader cinese per accettare l'incontro. Ma basterebbe da parte di Trump un accenno alla questione di Hong Kong, altra condizione posta dai cinesi che non vogliono interferenze negli affari interni, per far saltare tutto. E il mondo si è oramai accorto di quanto piaccia al Presidente Trump far saltare il banco.

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