Giappone, iniziato processo Fukushima

30 giu 2017
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Il 99% dei processi penali in Giappone dura pochi mesi e finisce con una condanna quasi sempre non appellata, frutto del combinato disposto tra discrezionalità dell’azione penale (a processo finiscono soli i casi dove l’imputato ha confessato) ed efficacia del sistema giudiziario. Non sarà tuttavia così per il processo iniziato oggi a Tokio contro alcuni dirigenti della TEPCO, la società che gestisce la centrale nucleare di Fukushima, accusati di disastro colposo. Un processo che ha avuto vita difficile con la Procura che aveva inizialmente archiviato l’inchiesta e che è stata costretta a riaprirla disponendo il rinvio a giudizio dopo che un comitato di cittadini guidato da un contadino di Fukushima ne aveva chiesto la revisione. Una procedura prevista sì dal codice di procedura penale ma mai applicata sinora dal dopoguerra. I tre ex dirigenti della TEPCO, tra i quali l’ex Presidente Tsunehisa Katsumata, si sono scusati per l’accaduto ma si sono dichiarati innocenti sostenendo l’imprevedibilità delle circostanze, terremoto e tsunami, che hanno provocato l’incidente nucleare, il più grave nella storia dopo Chernobyl. L’accusa sostiene invece che dai verbali dei consigli di amministrazione risulta che i dirigenti fossero a conoscenza dei rischi che abbiano volutamente ignorato i suggerimenti della Commissione nazionale di sicurezza di adeguare le barriere anti tsunami. Se l’avessero fatto, sostiene Ruiko Muto, del comitato vittime di Fukushima, questa tragedia non sarebbe avvenuta. A 6 anni dall’incidente alla centrale di Fukushima l’emergenza non è ancora finita e ogni giorno oltre 100 tonnellate di acqua contaminata si accumula nei serbatoi temporanei che la società TEPCO continua a costruire. Secondo le stime aggiornate del governo per completare il decommissionamento e la decontaminazione dell’aria saranno necessari ancora 30 o 40 anni. Nel frattempo oltre 120.000 persone evacuate al momento dell’incidente aspettano ancora di sapere se e quando potranno tornare nelle loro case.

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