Parla di se stesso in terza persona come se si guardasse da fuori, come se non fosse lui lì in quel letto squarciato. 18 anni, è rimasto ferito gravemente, ha perso un braccio ma soprattutto si sente, dice, morto dentro. Portato via dalla guerra, curato ad Abu Dhabi, pensa solo a tornare a casa. La famiglia di Mohammad è rimasta nella striscia di Gaza, o almeno lo è per quello che è dato sapere. La quotidianità lì oggi è fatta di bombe e morte. Manca tutto, non a caso per le Nazioni Unite la situazione è invivibile. Le uniche due ambulanze rimaste non riescono a portare via tutti i corpi, non riescono a curare i feriti. A Gaza, anche diventare madri ora è un potenziale pericolo. Questa donna è ricoverata con il figlio, un bimbo di cinque anni con problemi respiratori. Ne aspetta un altro ma, dice, a volte dimentico anche di essere incinta. Medici Senza Frontiere racconta che chi riesce a partorire in ospedale spesso subito dopo è costretta a tornare nel rifugio, tutte sono a rischio. E poi ci sono loro, i bambini. Grandi, piccoli, hanno tutti negli occhi lo stesso sguardo duro. Come dice la mamma di Mohamed: è come se fossero spenti. Sopravvivere a Gaza è un'impresa: per essere pronti a scappare c'è bisogno di scarpe, ma le scarpe non si trovano, e comunque i prezzi sono elevatissimi. Questo calzolaio ripara quelle che trova, quelle che gli vengono portate. La fila è lunga, tanti hanno solo pantofole. Così come lunghe sono le code per quel po' di farina che si riesce a recuperare. Una vera lotta a chi riesce a prenderne un sacco e trasportarlo via. E di solito sono i più giovani, come dice quest'uomo a mani vuote.