È un dialogo tra sordi quello tra Mosca e Washington sulla Siria. Per la seconda volta in due giorni il Segretario di Stato americano John Kerry torna a minacciare di mettere fine ai colloqui con la Russia se questa non fermerà i raid su Aleppo. “È irrazionale – ha detto Kerry – nel contesto di continui bombardamenti stare seduti cercando di fare sul serio. È il momento – ha aggiunto – di cercare alternative”. Far saltare il tavolo, dunque, è la mossa di Washington di fronte alla pervicacia con cui Mosca e i jet di Assad continuano a lanciare bombe su Aleppo. Forse è un’ultima possibilità offerta alla Russia, che però non si piega e fa sapere che finora gli Stati Uniti si sono dimostrati incapaci di incidere sulla situazione attuale, mentre Putin sollecita Washington a mettere in pratica la promessa di dividere l’opposizione moderata da i qaedisti dell’ex fronte Al-Nusra. Mentre va avanti la guerra di parole tra diplomazie che si scambiano accuse e messaggi più o meno velati, quasi novecentomila persone restano bloccate nelle aree assediate del Paese, dove sono stati uccisi oltre trecento civili da quando, dopo soli quattro giorni, la tregua è saltata. Per Damasco tutto questo è come se non esistesse. L’Ambasciatore siriano all’ONU parla di isteria dei Paesi occidentali e aggiunge: “Non abbiamo bisogno di aiuti umanitari, ma solo che finisca la guerra terroristica contro di noi”. Invece, ad Aleppo est, controllata da insorti sostenuti dai Paesi arabi del Golfo, la situazione umanitaria è catastrofica e i bambini continuano a morire, almeno novantasei negli ultimi sette giorni. Sono numeri da genocidio in sei anni di guerra. Gli ultimi trenta medici rimasti ad Aleppo hanno pochissime attrezzature e medicine. Sono costretti a scegliere e spesso – fa sapere uno di loro all’UNICEF – chi ha poche probabilità di sopravvivenza viene lasciato morire, anche se si tratta di un bambino.