L'ultima mossa l’ha fatta il Governo cinese, attraverso il Tabloid del Global Times pubblicato dal quotidiano del popolo, organo di stampa del Partito comunista cinese. Se Hong Kong non sarà in grado di riportare l'ordine, il duro intervento di Pechino sarà l'unica scelta, si legge in un editoriale. Una sorta di ultimatum ai manifestanti e alla governatrice della ex colonia britannica, che negli ultimi due mesi e mezzo non è riuscita a ripristinare l'ordine. Gli abitanti di Hong Kong, protestano, scendendo in strada da 11 settimane e il sostegno della popolazione non accenna a diminuire. Domenica erano un 1.700.000 secondo gli organizzatori. Non li ha fermati la pioggia, non li hanno fermati le violenze della polizia della settimana precedente. Di fronte al crescente consenso della protesta la contestata governatrice Lam ha aperto al dialogo, proponendo una piattaforma per trovare una via d'uscita. Non è però è entrata nel merito delle richieste dei manifestanti, che tra l'altro, vogliono le sue dimissioni. La risposta è netta, non ci fidiamo. Questo ragazzo, che si presenta come un manifestante di prima linea, esorta ad andare avanti. Se perdiamo questa battaglia, dice, la democrazia a Hong Kong non sarà ripristinata. Lo scontro ha ormai raggiunto un livello internazionale, Il vicepresidente americano Pence, ha messo la questione a Hong Kong sul piatto della partita dei dazi. Twitter e Facebook hanno cancellato centinaia di account cinesi che cercavano di screditare la protesta ed è alta la preoccupazione in Gran Bretagna. Un impiegato del Consolato inglese non ha più fatto rientro ad Hong Kong, dopo essere andato in visita nella vicina città cinese di Shenzhen. È sparito dall' 8 agosto. Al Ministero degli Esteri cinese si trincerano dietro un no comment.