Se il voto potesse cambiare qualcosa non vi consentirebbero di votare. Le parole della mamma di Mahsa Amini, la 22enne morta poco più di un anno fa, mentre era in custodia della famigerata polizia morale, sintetizzano il motivo per cui la maggioranza degli iraniani non sia andata a votare. Ancora una volta dunque, nella repubblica islamica hanno votato in pochi, per pochi, e quei pochi sapevano già di aver vinto prima che i seggi aprissero. Una massa silenziosa quella che si è astenuta, esprimendo così il proprio dissenso al regime e sfidando gli inviti della guida suprema Ali Khamenei a partecipare alle consultazioni per deludere, è la propaganda di Stato, i nemici che tengono gli occhi puntati sull'Iran. Gli appelli per l'astensione si sono ripetuti nei giorni che hanno preceduto il voto, ad iniziare dalla vincitrice del premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, detenuta nel carcere di Evin, che ha affermato come sanzionare le elezioni sotto un regime religioso dispotico non sia solo una mossa politica, ma anche un obbligo morale per gli iraniani amanti della libertà e in cerca di giustizia. L'ultima mossa degli ayatollah è stata quella di provare a tenere i seggi aperti per due ore in più, parlando di una fantomatica alta affluenza, ed aumentando quindi la pressione soprattutto nei centri più piccoli. Ma a Teheran come a Isfahan e in molte grandi città i dati dell'astensionismo sono emblematici. Per delle elezioni che hanno tenuto fuori anche l'ex presidente Rohuani e tutta la corrente moderata. Non esattamente dei pacifisti, ma comunque troppo pericolosi per lo stesso potere che hanno incarnato.