Se Westminster è piena di possibili insidie e la Casa Bianca di Donald Trump si è rivelata un’arma a doppio taglio, in pieno processo di approvazione della legge sulla Brexit, Theresa May può contare almeno su un posto dove rifugiarsi e sorridere serena. È Clacton-on-Sea, con i suoi 55.000 abitanti – un terzo pensionati –, collegio dell’unico deputato dell’Ukip, fino agli anni Ottanta località balneare della working class londinese, lì dove l’oggi è un pallido ricordo dello ieri e la Brexit è stata votata dal 70 per cento della popolazione. Se Jimmy è cauto – “sta andando bene per quel che posso dire” –, Pauline si dice “molto soddisfatta della gestione del Primo Ministro” e Eisen trova l’equilibrio: “Credo debbano procedere, sono un po’ troppo lenti, ma ho fiducia nella May: sta cercando – ci dice – di fare un buon lavoro”. Immigrazione ed economia, questioni intrecciate, sono alla base della scelta fatta. Su tutto, però, aleggia il ricordo di un’altra donna Primo Ministro: “rivoglio indietro i miei soldi”, diceva la Thatcher a Bruxelles; “rivogliamo indietro il nostro Paese” dicono, ripetono oggi i sostenitori della linea dura. Come Kenneth: “Sarà un processo difficile, ma ho votato pro-Brexit perché dobbiamo tornare a controllare noi stessi, invece che essere controllati dall’Europa, e credo che molta gente pensi lo stesso”. Come Diane e Nazel: “Il punto, poi – scandisce lei – sono le regole: le vogliamo scrivere noi”. Tra le sale gioco e un lungomare che ricorda un passato glorioso, Clacton-on-Sea è la fotografia della Gran Bretagna che il 23 giugno scorso ha votato per lasciare l’Unione Europea. Tendenzialmente bianca, impoverita, tradizionalista, eppure, anche qui, oggi, non mancano le voci di dissenso. Penny non ha dubbi: “Credo che sia stato fatto un errore, dovremmo restare nell’Unione Europea. Quel voto – dice lei – ha una sola spiegazione: siamo una città povera e poco istruita. Qui la gente ascolta molto ma legge troppo poco”.