Il Paese guidato dal Nobel della pace Aung San Suu Kyi fa fuoco su donne e bambini. L’esercito del Myanmar ha utilizzato mortai e mitragliatrici su centinaia di civili in fuga dai villaggi, abitati dalla minoranza musulmana dei rohingya: “hanno sparato all’improvviso su famiglie che avevano trovato riparo dietro le colline vicino alla linea di confine”, racconta un giornalista della France Press. Da giorni, lungo la sponda birmana del fiume Naf, migliaia di profughi rohingya sono accampati, nella speranza di poter attraversare il confine ed entrare in Bangladesh, sfuggendo così ai sanguinosi scontri in atto tra governativi buddisti e ribelli musulmani, che da venerdì scorso hanno fatto quasi 100 morti. I rohingya, un milione su 54 milioni di birmani, sono musulmani in un Paese dove il 90% della popolazione è buddista. Non hanno diritto di cittadinanza, non possono votare, e in base a una legge del 1982 non sono considerati appartenenti a nessuno dei 135 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti. Apolidi, anche se alcuni vivono in Birmania da generazioni, tentano di fuggire in Bangladesh, che li considera, però, immigrati illegali. Il timore di Dacca è che con i civili in fuga entrino nel Paese anche estremisti o terroristi. Ma attraversare quel fiume, per molti di loro, significa salvezza.