Fuggono portando con sé quello che possono: i pochi averi, i bambini piccoli in braccio, gli animali al seguito. Sullo sfondo, gli spari, sempre più vicini. Sono queste le ultime famiglie rimaste intorno ai villaggi a sud di Mosul. L’unica opzione di sopravvivenza è fuggire o nascondersi: “Abbiamo visto gli uomini dell’Isis arrivare, erano a bordo di moto. Ci siamo nascosti nelle nostre case”. Sono ancora qui, nei dintorni? “Non lo sappiamo, ma erano qui due giorni fa”. I militanti del sedicente stato islamico si muovono attraverso tunnel sotterranei e si confondono tra i 750.000 civili, anche loro di fatto sotto assedio, in trappola, bloccati nella zona occidentale di Mosul, dopo essere stati costretti ad abbandonare la zona est, nella prima fase dell’offensiva, dopo cento giorni di combattimento. Ci sono persone fuggite da Mosul, qui? “No, l’Isis non permette a nessuno di lasciare Mosul. Quelli che arrivano sono in fuga dal villaggio di Abu Sayyaf”. Un villaggio fantasma, Abu Sayyaf, ultima tappa prima della marcia sull’aeroporto di Mosul: “Abbiamo tre compiti: liberare le zone dai miliziani, riaprire ospedali e scuole, ristabilire e mantenere la sicurezza”. Ma dall’Osservatorio iracheno per i diritti umani, la denuncia: 1.500 civili sono stati uccisi a gennaio dai raid della coalizione internazionale a guida americana. Su alcune delle truppe paramilitari composte da forze curde e gruppi sciiti, riuniti nell’Unità di Mobilitazione Popolare, la PMU, sulla carta alle dipendenze del Governo iracheno, ma di fatto controllata dall’Iran, pesa l’accusa, supportata da video e foto, di abusi e torture sui miliziani dello Stato Islamico catturati. Già in passato questi gruppi erano stati accusati di gravi violenze contro i sunniti. Ennesima prova di una rivalità che non sarà facile da gestire, una volta che la battaglia per liberare la città sarà finita.