Aver ottenuto una bandiera, un inno, una lingua ufficiale non basta. Le origini dell’indipendentismo catalano si possono tracciare fino ai tempi dell’impero carolingio, anche se fu nel 1922, con la nascita del primo partito politico indipendentista catalano che nacque il cosiddetto catalanismo politico. Un movimento di affermazione identitaria destinato ad essere soppresso con l’inizio della dittatura di Primo de Rivera, nel 1923, e per tutta la successiva dittatura di Francisco Franco. La lingua catalana, durante il franchismo, divenne un esercizio sovversivo. E così fu fino al 1979, quattro anni dopo la morte del Caudillo, quando fu approvato il nuovo Statuto dell’autonomia catalana, che riconosceva, di fatto, la Catalogna come una comunità autonoma all’interno della Spagna. Un documento rimasto in vigore fino al 2006, quando fu approvato il nuovo Statuto che riconosceva maggiori poteri, soprattutto in campo finanziario, alla nazione catalana. Ma quattro anni dopo, diversi articoli furono dichiarati incostituzionali dal Tribunale spagnolo: in primis quello che definiva la Catalogna una nazione. La protesta di migliaia di persone, scese in strada il 10 luglio 2010 a Barcellona, con lo slogan “siamo una nazione, vogliamo decidere” non fu sufficiente a ribaltare la sentenza. Nonostante l’opposizione del governo di Madrid, il sostegno all’indipendentismo catalano è cresciuto, negli ultimi anni, tanto che nel 2014, l’allora presidente catalano Artur Mas, convocò una votazione consultiva. L’iniziativa fu fermata dal tribunale costituzionale e Mas indì un referendum informale, con un’affluenza del 36 per cento, che ottenne l’80 per cento dei voti a favore dell’indipendenza. Un’espressione di volontà che in quanto illegittima non ebbe alcun valore legale, ma che segnò la strada per questo nuovo tentativo referendario.