Le auto americane tirano il freno a mano. Tutte insieme, contemporaneamente. Per il mancato rinnovo del contratto quadriennale collettivo per la prima volta scioperano gli operai delle tre principali case automobilistiche a stelle e strisce: General Motors, Ford e Stellantis, ex Fiat Chrysler. Il potentissimo sindacato dei lavoratori del settore ha fermato 12.700 dei suoi 145 mila iscritti dove fa più male, in tre impianti critici e molto profittevoli di Michigan, Ohio e Missouri. Pieno Midwest, piena middle class, terreno di caccia di ogni candidato alla Casa Bianca. Motivo per il quale il presidente Biden, che si è sempre vantato di essere sia un appassionato di auto che un sostenitore del sindacato, è subito intervenuto. "Lo sciopero non piace a nessuno", ha detto, "ma finora i profitti record delle aziende non sono stati condivisi equamente con i lavoratori". In forte ripresa dopo lo stop dovuto alla pandemia, il settore ha infatti messo a segno utili record. Ma sta anche affrontando una radicale transizione verso forme di propulsione sostenibili che richiedono miliardi di investimenti. Gli operai vogliono un incremento salariale del 40%, il ritorno della settimana lavorativa di 4 giorni e nuovi piani pensionistici. Le case ritengono queste richieste irrealistiche. Dicono che le porterebbero alla bancarotta e al massimo sono disposti a concedere aumenti del 20%. Si troveranno a metà strada, come sempre. La vera domanda è: quando? Più va avanti più lo sciopero fa esaurire le scorte, spinge in alto i prezzi e contribuisce alla crescita dell'inflazione, contro la quale Casa Bianca e americani stanno combattendo ormai da anni.