L'Iran rischia di rimanere senz'acqua entro settembre, parole drammatiche rilasciate pochi giorni fa dal presidente Pekan, che descrivono una crisi idrica senza precedenti, una vera e propria bancarotta dell'acqua che minaccia la vita quotidiana di milioni di cittadini e mette in ginocchio la capitale Teheran. Le dighe principali, simbolo di sicurezza e sviluppo sono quasi vuote, la diga e le altre grandi opere idriche contengono solo il 16 percento della loro capacità. Nella capitale le riserve sono dimezzate rispetto alla media stagionale. In molte province i blackout idrici durano giorni interrompendo la vita quotidiana e le attività produttive. La causa però non è solo climatica, già dal 2020 una siccità triennale colpisce l'Iran, amplificata dal cambiamento climatico, ma la radice più profonda e politica, decenni di gestione dissennata, trivellazioni incontrollate, politiche agricole inefficaci. Il lago Urmia ha perso il 95% del suo volume. Durante le ondate di calore, la domanda elettrica supera le e industrie. L'assenza di elettricità rende più difficile pompare l'acqua aggravando ulteriormente la crisi. Il malcontento è cresciuto sulla questione da Teheran alle province più remote, dove la popolazione è scesa in piazza nel corso degli anni per rivendicare il diritto all'acqua e all'elettricità sale la tensione sociale, mentre il regime viene accusato di aver dilapidato risorse nel programma nucleare nel sostegno ai proxy, trascurando infrastrutture vitali. Oggi l'Iran è un bivio senza interventi immediati, senza riforme strutturali. Impegnato su diversi fronti nella crisi mediorientale, la siccità rischia di trasformarsi in una crisi sociale ed economica senza precedenti, con conseguenze dirette sulla stabilità del paese e sulla leadership del regime. Gianluca Ales, Sket G 24. .























