Alla fine, anche il volto presentabile del Sudan, Abdallah Amdok, ci ha rinunciato. Deposto con un colpo di stato appena due mesi fa era stato riportato alla guida del Paese ma, alla fine, l'ex funzionario ed economista dell'ONU ha gettato la spugna. Già l'aver accettato di tornare al Governo era stata una mossa difficile da far digerire all'opinione pubblica. Nonostante ciò, l'ex Primo Ministro aveva deciso di fare un tentativo, di fare imboccare una direzione democratica alla transizione avviata dalla giunta militare. Ma si è dimostrato velleitario. Anche perché il malcontento è cresciuto fino a trascinare di nuovo in piazza migliaia di persone esasperate dalla politica di austerità resasi necessaria per far fronte a una situazione economica insostenibile. Con l'inflazione al 300% per i sudanesi il quotidiano è diventato una Via Crucis. Un quotidiano già complicato in un paese che manca delle più elementari infrastrutture: dalle strade alla sanità. La goccia che però ha fatto traboccare il vaso per Hamdok è stato l'ultimo giro di vite dei militari, che hanno represso l'ennesima protesta nel sangue provocando decine di morti. Ora lo scenario che si apre è ancora più ricco di incognite. Al di là dell'auspicio dell'ex premier e difficile che chiunque, della nomenclatura sudanese, possa giocarsi la carta della credibilità internazionale. Con la sua reputazione Hamdok era riuscito a limitare i danni, ad attenuare le sanzioni americane, ad evitare l'isolamento internazionale. Ora che la giunta ha mostrato il suo vero volto e che la svolta autoritaria sembra inevitabile è improbabile che la comunità internazionale, già esasperata dei 25 anni del regime di Bashir, possa tornare sui suoi passi.