Dietro, come prevedibile, c’è la longa manus della Russia. Ma a colpire è soprattutto l’entità del taglio: due milioni di barili al giorno, con un impatto valutato sulla produzione complessiva del 2%. Cioè esattamente il doppio di quanto si era sperato. E le conseguenze della decisione dell’Opec Plus, riunitosi a Vienna per la prima volta in presenza dal 2020, è stata interpretata come uno schiaffo al Presidente americano Biden, che invece aveva fatto pressione sugli alleati del Golfo perché non si procedesse in questa direzione. “Sono preoccupato”, ha infatti commentato l’inquilino della Casa Bianca, “questo taglio non era necessario”. Nei fatti, il problema è squisitamente politico. Perché al di là delle conseguenze immediate, che si sono viste con una fiammata del prezzo del greggio sui mercati mondiali, in realtà nessuno dei Paesi ha mai rispettato appieno le quote, vendendo sempre un po’ meno rispetto agli impegni assunti. Ma, appunto, è soprattutto simbolico. In particolare da parte dell’Arabia Saudita, partner politico ed economico privilegiato degli Stati Uniti, che ha ceduto alle lusinghe russe. E poi perché in questo modo si “azzoppa” ulteriormente l’economia occidentale. Secondo gli analisti, infatti, con un effetto a catena aumenterà inevitabilmente anche il prezzo del metano. In realtà, al di là delle aspettative degli Stati Uniti che sono indipendenti per quanto riguarda la produzione di greggio, il punto è che la mossa era ampiamente prevista. Il prezzo del petrolio era in calo sui mercati mondiali, conseguenza diretta del rallentamento globale dell’economia. Quel che colpisce è l’entità. E, soprattutto, viene da dire, la scarsa prospettiva della scelta. Insomma, un gioco pericoloso da parte dei Paesi del Golfo, che nei difficili nuovi equilibri mondiali devono garantire lo stesso gettito nelle proprie casse, pensando più all’immediato che a un orizzonte più ampio. Anche questo, il prezzo dell’economia di guerra: dove la prospettiva si accorcia col prolungarsi dei conflitti.