La speranza è che la tregua mediata da Egitto, Qatar e Nazioni Unite tra le milizie del Jihad islamico a Gaza e l'esercito di Israele, possa tenere. Non si spara più da domenica notte e nella striscia costiera di 360 chilometri quadrati, dove vivono 2,3 milioni di palestinesi, la vita sembra riprendere. Le autorità locali hanno annunciato la riapertura degli uffici pubblici e delle università e si inizia la ricostruzione. I confini sigillati da Israele ed Egitto si riaprono al passaggio di beni e di carburante per la locale centrale elettrica. Da venerdì, da quando i vertici dell'esercito israeliano hanno annunciato l'inizio di raid definiti preventivi per bloccare una rappresaglia all'arresto nei territori palestinesi della Cisgiordania di 19 membri del Jihad islamico, tra cui uno dei leader Bassem al-Saadi, a Gaza sono stati uccisi in attacchi israeliani 44 persone, non soltanto miliziani del movimento, secondo le autorità palestinesi, ma anche civili e minori. Il Jihad islamico ha risposto colpendo Israele con centinaia di razzi intercettati per la maggior parte dal sistema antimissilistico Iron Dome. Oggi Israele smentisce uno scambio di prigionieri evocato dalla leadership del gruppo palestinese come garanzia di cessate il fuoco. I tre giorni di raid israeliani e lanci di razzi palestinesi, hanno fatto temere per un ennesimo conflitto tra Israele e i gruppi armati della striscia. L'ultimo è durato 11 giorni a maggio del 2021. La situazione sarebbe potuta precipitare se il movimento islamista di Hamas, che controlla Gaza dal 2007, fosse intervenuto a fianco del Jihad islamico. Non è accaduto da una parte perché l'ultimo conflitto ha fortemente indebolito il suo arsenale e perché l'organizzazione, responsabile per il governo della striscia, teme fortemente che un nuovo confronto possa piegare la sua azione amministrativa locale.