Molti sono stati intercettati, ma purtroppo altri, e sono stati sufficienti, hanno raggiunto il bersaglio. Il diluvio di droni che si è abbattuto sull’Ucraina, secondo Kiev sono stati addirittura 188 in una sola notte, ha messo a dura prova la contraerea ucraina. Lo ha ammesso lo stesso ministero della Difesa nel suo comunicato giornaliero. Così, alla fine, il bilancio, oltre alle vittime, è particolarmente preoccupante per le infrastrutture energetiche che sono state messe sostanzialmente in ginocchio. A provocare questi danni immensi sono stati soprattutto i droni di fabbricazione iraniana, i famigerati Shahed, ma anche missili balistici Iskander, sempre made in Teheran. Come risposta a questa offensiva l’ucraina ha impiegato i temuti Atacams, da poco sdoganati dall’Occidente per l’uso anche oltre confine e sono stati lanciati verso l’Oblast di Kursk, con obiettivo principale l'aeroporto dell’area. Una risposta che ha provocato una reazione inferocita da parte di Mosca, che ha minacciato di stare preparando una “risposta adeguata” all’aggressione. Certo è che l’autorizzazione all’utilizzo dei missili a lungo raggio è stata molto indigesta da Mosca. E se è vero che il vicepresidente del consiglio di sicurezza, Dmitrij Medvedev, ha come sempre rilasciato dichiarazioni scomposte sul rischio di un conflitto nucleare, è forse più attendibile il numero uno dei servizi di intelligence, Serghei Naryshkin, che ha scartato ogni ipotesi di congelamento del conflitto. La Russia rifiuta categoricamente questa soluzione, secondo il modello coreano qualsiasi altra opzione del genere. Nel frattempo la Gran Bretagna ribadisce la sua determinazione nel fornire i missili Shadows a Kiev. Kiev che ha avuto il via libera da Washington anche alla fornitura di mine antiuomo, ma che ha denunciato la Federazione Russa di aver compiuto un genocidio impiegandole nel suo territorio.