Non possiamo riportare in vita i morti, ma rimetteremo tutto a posto. Accolto, come sempre, da una folla festante che sventola le bandiere turche, il Sultano torna in quei posti che avrebbero potuto essere una trappola mortale per la sua carriera. Recep Tayyp Erdogan, infatti, si è recato in visita nella regione di Hatay, che proprio nella notte di un anno fa un anno fa veniva devastata da due scosse di terremoto, la prima di 7,8, la seconda di 7,5 gradi Richter. Immane la devastazione concentrata in un un’area al confine con la Siria, dove, ad oggi, il bilancio fotografa una catastrofe: 53mila le vittime. Ferite e mutilate altre 107mila. Mentre sono andate distrutte 680 mila case in un'area pari all'estensione di un Paese come l'Ungheria. Una ferita destinata a durare anni in un territorio abitato da 14 milioni di persone. Antakya, Adana, Kahramanmaras i nomi dei centri distrutti. Gaziantep la principale città investita dall’onda d’urto dello sciame sismico. Le immagini girate all’epoca mostrano una terra e un popolo piegato. E anche oggi la vita in quelle zone è molto difficile. Come denunciano molte ONG che operano sia in Turchia che in Siria, la situazione è ancora gravissima: decine di migliaia di persone non hanno un riparo sicuro, un bambino su tre lamenta gravi problemi psichici. Per la propaganda del Governo l’intervento all’epoca fu sollecito, anche se in realtà la cronaca raccontava di interi villaggi abbandonati al gelo che spazzava la regione. Di persone affamate, senza riparo e assistenza. Ora che una sorta di normalità sembra essere stata restituita sembra impossibile: ma alle elezioni Erdogan dovette affrontare, per la prima volta, un secondo turno. Nonostante l’oscuro Kilicdaroglu come avversario. E quindi oggi il Sultano non celebra solo la rinascita di una regione, ma anche la sua.