Usa 2016, indiani del North Dakota scettici sui candidati

03 nov 2016
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Tutto è cominciato qui sei mesi fa, quando in tre hanno detto “basta” e si sono accampati per protesta sulla terra che ancora ricorda le scorribande di Toro seduto, sulle rive del fiume che ha dissetato i Sioux per secoli. A raccontarcelo è che Doug Crow Ghost, Corvo fantasma, uno dei capi della tribù di Standing Rock. La ribellione contro la costruzione del Dakota Axis Pipeline, l’oleodotto da 1.800 chilometri, 4 miliardi di dollari, che dovrebbe portare il petrolio dal North Dakota fino all’Illinois attraversando la terra sacra dei nativi e mettendo a rischio l’acqua che disseta 17 milioni di persone, è la sua protesta. “Abitiamo questa terra da sempre – spiega – e l’abbiamo sempre protetta, anche da noi stessi”. “Vogliamo che fermino completamente i lavori. Così come è successo con il Keystone, l’oleodotto non deve essere costruito” scandisce. Tutto è cominciato qui. Ora ci sono tre campi e migliaia di persone a protestare e benché venerdì scorso la Guardia nazionale abbia sgomberato, tra scontri e arresti, il campo a nord che ostruiva i lavori, che ora vanno avanti, protetti da checkpoint e Guardia nazionale, da qui Corvo fantasma è sicuro “Inizierà una nuova fase”. “Fermeremo questo oleodotto e faremo la differenza, perché creeremo un precedente, dimostreremo che uniti siamo più forti delle corporation”. L’acqua e la terra, e non c’è nulla di più sacro. È così che qui, dove il fiume Cannonball si getta nel fiume Missouri, la protesta dei Sioux è diventata la protesta di tutte le tribù dei nativi americani; una protesta che si interseca con la battaglia per dignità e diritti negati, quando in riserve come questa la disoccupazione è all’80 per cento, l’alcolismo è una piaga, il gioco d’azzardo e i sussidi federali sono le uniche fonti di reddito. Si interseca, ma rimanendo in primo piano. “Non difendiamo solo noi stessi, stiamo cercando di far capire al mondo intero che madre natura è malata e che bisogna difenderla dalle corporation” ci dice Ivan Looking Hourse, Che Guarda i cavalli, cheyenne di una riserva a un paio d’ore da qui, ma in trincea sin dai primi giorni di aprile. Sullo sfondo rimane la campagna elettorale e un’America distratta dalla corsa alla Casa Bianca. A Standing Rock nessuno si fa false speranze. “Tra Trump, che risulta tra gli investitori del progetto e beneficiario di donazioni dall’AD dell’Energy Transfer Partners che lo sta costruendo, e Hillary, che solo sotto le grandi pressioni di Bernie Sanders durante le primarie si schierò contro il Keystone, credo che avremo dei problemi”. Scuote la testa Wayne Carrick della Bay Mills community del Michigan. “Nella mia riserva – racconta – ognuno ha i suoi sostenitori, ma non credo faranno nulla”. Piuttosto lui spera in Obama. “Ha ancora un paio di mesi – dice – e può fermare tutto questo con un tratto di penna”. Intanto, però, le ruspe avanzano e Little Big Horn, con la grande sconfitta del generale Custer, appare lontana.

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