Sembra una partita di Shanghai, quel gioco cinese fatto di bacchette buttate lì a caso. eppure, in precario equilibrio, l'una tiene l'altra, ma se sposti troppo in fretta cade giù tutto. Se la legge elettorale si sovrappone al possibile rimpasto, il Referendum sta accanto al voto regionale e la riforma costituzionale - sì, c'è anche quella - richiama maggioranze diverse, magari utili per quando ci sarà da eleggere il nuovo Presidente della Repubblica tra un anno e mezzo. Come in una rete di linee che si allacciano ecco le parole di Luigi Di Maio: “Comprendo il Pd - dice il Ministro degli Esteri - l'accordo era che contestualmente alla riforma avremmo cambiato le regole del gioco, legge elettorale e regolamenti parlamentari”. È una risposta quasi diretta a Nicola Zingaretti e al suo ultimatum: “Votiamo il nuovo sistema prima di settembre” aveva detto, solo che nel PD ci sono idee diverse, chiamiamole così. Per Marcucci, capogruppo al Senato, va bene trovare un accordo anche dopo le regionali, poi c'è sempre più consistente il gruppo di chi voterà “no” al Referendum per il taglio dei parlamentari. C'è poi il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Dario Parrini, che addirittura rilancia la riforma costituzionale, dice: “In Commissione siamo ormai vicini all'intesa”. L'apertura di Renzi era stata troppo timida, quasi episodica. Italia Viva pensa ancora di tirare dentro Forza Italia nell'accordo per la legge elettorale. Diversamente Di Maio: “Cominciamo dalla Maggioranza, vediamo chi ci sta”, una tattica questa che funzionò molto bene nella Prima Repubblica. La sponda con le Opposizioni al momento, quindi, è ferma o forse è solo nascosta. Con la legge elettorale - dice Matteo Salvini - non si mangia, non è la priorità di un Paese spaccato dalla crisi economica, ma forse è solo un modo per prendere tempo e arrivare fino al 20 settembre, che non sarà la presa di Roma, ma più semplicemente la conta dei voti per capire chi deciderà la prossima regola del gioco.