Era la candidatura più attesa, forse la più scontata, di certo è stata la prima. Luigi Di Maio è, dunque, pronto a essere il candidato premier per il Movimento 5 Stelle. E dalla Sicilia ufficializza la propria volontà: andare a Palazzo Chigi e far risorgere il Paese, scrive su Facebook. La sua, però, è per ora una corsa solitaria nella competizione grillina. Gli attivisti dovranno scegliere attraverso la piattaforma Rousseau e il risultato di quel voto verrà annunciato il 23, durante la tre giorni di Rimini. Ma, al momento, il Vicepresidente della Camera non ha competitor. Non solo, quelle regole per le primarie, arrivate per molti troppo tardi, suscitano più di qualche malumore, e non tanto per quella deroga al non statuto, già in realtà fatta propria con un codice di comportamento, per la quale potranno correre anche gli indagati dopo un vaglio preventivo. L’assunto è che possano candidarsi coloro che hanno procedimenti per questioni minori oppure legati a procedure dovute, come appunto il caso di Di Maio, indagato per diffamazione in seguito alla querela di Marika Cassimatis, ex cinquestelle alla quale il blog sbarrò la corsa come prima cittadina di Genova dopo aver vinto le primarie. Ciò che più lascia perplessa l’anima ortodossa del movimento è il fatto che il candidato premier sarà il capo della forza politica, qualifica che sembra portare con sé poteri decisivi e che fino ad oggi erano stati solo in capo a Beppe Grillo. Malumori e retropensieri che per ora stanno tenendo lontano da quelle primarie altre candidature, tra il timore di scontrarsi con un leader che pare già designato e il desiderio di lasciare quella una corsa con un solo partecipante, a dimostrazione di una gara falsata sin dall’inizio.