Niente peculato, niente truffa, niente falso. Ignazio Marino è assolto, e come tutti gli arcinemici che risorgono, è vivo, vegeto e pronto a dare battaglia, a sparare a zero contro il PD, soprattutto contro il segretario e i suoi, contro i consiglieri del suo partito, dimessi dal notaio per fargli mancare la maggioranza necessaria per continuare a governare Roma. La Procura aveva chiesto per l’ex Sindaco tre anni, dopo l’estate tormentata dagli scontrini e dalla vicenda legata alla Onlus che operava in Honduras e Congo. Verità finalmente ristabilita, dice Marino, in conferenza stampa; poi, attacca Renzi. “Quello che è accaduto, ovviamente, naturalmente ha avuto una risonanza mondiale un anno fa, e avrà una risonanza mondiale oggi. E allora forse ognuno deve guardarsi allo specchio e pensare se ce l’ha veramente la statura da statista nel nostro Paese”. Marino racconta della solidarietà internazionale, delle telefonate ricevute dopo l’uscita di scena da Palazzo Senatorio. Dopo l’assoluzione, altre telefonate: la prima, quella di Massimo D’Alema, perché il luogo della rivincita non è il Campidoglio, ma il referendum del 4 dicembre. Finalmente la verità emerge, dice l’ex premier, e non è una verità che unisce, però, almeno nel PD. Il suo Presidente, Matteo Orfini, ex amico dell’ex premier, dice che la verità è che Marino non è più Sindaco perché è un incapace. La sinistra PD, di cui Marino tutto sommato è ancora parte, si congratula: Bersani, Cuperlo, Speranza e compagnia, vedono nell’ex Sindaco resuscitato un testimonial potente per il no alla riforma, e magari anche per il dopo. Lui girerà l’Italia per dire no al referendum. Altro non sa. Renzi sa che c’è un nemico in più in una battaglia che si è fatta più difficile di quanto pensasse. E i 5 Stelle si ritrovano un alleato, inaspettato come nessun altro.