Mattarella: rigore Ue non valga solo sui conti

17 gen 2017
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Rilanciare una solidarietà vera, quella che oggi all’Europa manca, e affrontare le due questioni più urgenti per il futuro dell’Unione, il nodo migranti e la crescita guardando soprattutto all’occupazione giovanile: queste le priorità indicate da Sergio Mattarella in visita ufficiale in Grecia. Accanto a lui il presidente greco Pavlopoulos prima, il premier Tsipras poi. Due nazioni amiche da sempre, spiegano i tre, che chiedono a Bruxelles di superare una cieca austerity davanti a una situazione di difficoltà per l’economia non solo dei due Paesi ma di tutto il Vecchio Continente. Estremamente più delicata quella di Atene. Per questo l’Unione deve dare priorità proprio alla crescita. “Speriamo che l’occasione costituita dal sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, che si celebrerà a Roma nel marzo prossimo, sia l’occasione per rilanciare non soltanto la verità storica dell’integrazione europea, ma anche il suo vincolo di vera solidarietà”. Italia e Grecia più che alleati, dunque, come nella NATO e per la NATO, “organizzazione”, spiega il Capo dello Stato – e qualcuno pensa alle parole invece critiche soltanto di pochi giorni addietro del neopresidente americano Trump – “di straordinaria importanza per la pace e la sicurezza, sicurezza che passa dalla gestione profughi. Lo stesso rigore chiesto sui conti pubblici valga sui rifugiati. Le ricollocazioni promesse dall’Europa, 160.000, si sono fermate ad appena 5.000 e il peso dei flussi continua a gravare soprattutto su Roma e Atene”. Il problema, dicono i due Presidenti, è di tutta l’Europa. “Di fronte ai bambini che sono in questo come in tanti altri campi, in tante altre parti, in tanti altri paesi, la coscienza di tutti dovrebbe essere interpellata perché ci si renda conto del dovere dell’Europa di intervenire adeguatamente”. Le coste mediterranee sono i confini dell’Unione, come dimostra la visita al campo profughi poco fuori dalla capitale ellenica. Eleonas: oltre 2.000 siriani, pachistani, afgani e curdi, 500 bambini. Non più alle porte, ma dentro l’Europa. Una finestra sul dramma dei migranti, profughi e non, in attesa di un giudizio sul proprio futuro, un giudizio che però riguarda anche il futuro dell’Europa stessa.

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