Referendum sì, referendum ni. Nonostante il via libera quasi unanime in Parlamento lo scorso ottobre del taglio di 345 tra deputati e senatori, tra le forze politiche emergono perplessità e dubbi crescenti sul voto fissato il 20 settembre. Complice l'emergenza Covid, l'appuntamento referendario, battaglia del Movimento 5 Stelle, sembra aver perso attenzione. Il sì appare sempre più condizionato da tattiche e convenienze subordinate. L'alleato di governo, il PD, ha da subito vincolato il suo sì a una nuova legge elettorale e a correttivi ai regolamenti parlamentari. Lo ricorda in questi giorni il Segretario Dem, Zingaretti, in attesa della direzione della prossima settimana. E conferma l'impegno per i 5 Stelle anche il Ministro Luigi Di Maio. Nella maggioranza Italia Viva lascerà libertà di voto e il leader Matteo Renzi precisa: non si vota su una riforma costituzionale, si vota su uno spot: taglio il numero dei parlamentari, ma il procedimento legislativo rimane lo stesso, ma Camera e Senato fanno le stesse cose. Se vuoi far ripartire l'Italia in modo organico hai bisogno di un sistema in cui chi sta al Governo ha perlomeno cinque anni davanti a sé. Con il passare dei giorni crescono le contrarietà nella maggioranza. Lo stesso ex Premier Romano Prodi si dichiara per il no, così come nel Centrodestra: Lega e Fratelli d'Italia confermano la linea per il sì, libertà di coscienza invece da Forza Italia, che ha al suo interno esponenti degli stessi comitati per il no. La verità è che questa non è una riforma costituzionale, nel senso che non migliora la funzionalità del Parlamento né migliora la sua rappresentatività. Come oltre 200 costituzionalisti, da Sabino Cassese in giù, hanno dichiarato, il Parlamento funzionerà peggio e la rappresentanza dei cittadini e soprattutto dei territori ne risulterà danneggiata.